Ho deciso di prendermi del tempo per me stessa. L’ho fatto per non dovermi obbligare a cercare di trasformare i pensieri in parole, per non dover cercare ad ogni costo di riempire il vuoto di respiri strozzati. Per giorni lo specchio mi ha ferita, il mio corpo mi ha tradito e il dolore mi ha strattonato, percosso, tentando ad ogni costo di annientarmi.
Un’apparente strada senza uscita, un castello di carte raso al suolo. L’equilibrista imperfetto ha perso il suo equilibrio. Nella mente risuonano ancora forti e chiare le uniche parole che mai avrei voluto mi appartenessero. Non le ripeterò, non permetterò mai a me stessa di crederci.
Il solo sentirle mi ha distrutta, disintregrando la mia anima in mille piccolissimi pezzi. Ho sentito il dolore divorare il mio corpo, centimetro dopo centimetro. Per giorni mi è sembrato di non riuscire più a sentire nulla, nessuna emozione. Ero incapace di piangere, anche se avrei tanto voluto farlo, volevo sentirlo quel dolore, volevo sentirmi. Lei, la Bestia, si era presa tutto. Per un tempo che mi è sembrato infinito lei è diventata padrona. Erano suoi i miei pensieri, suoi i miei respiri, e suoi anche i miei gesti. Fin quando una mattina non ho visto il mio riflesso su una di quelle vetrate a me così familiari che illuminano corridoi che oggi potrei percorrere ormai anche bendata.
È stato in quell’istante che ho ritrovato me stessa. Ho sentito tutto il dolore e la rabbia, tanto da credere di non poterlo sopportare. Mi sono appoggiata al muro e ho stretto i pugni così forte da sentire le mie stesse unghie. La gola si è stretta in una morsa e calde lacrime hanno preso a rigarmi il viso. Mi sono data il diritto di piangere, di sentirmi sola, sconfitta, triste. Ho lasciato al dolore il suo spazio e al silenzio il potere di riempire ogni vuoto. Sono tornata a sentirmi quando finalmente ho concesso a me stessa di mollare la presa. In quel momento ero semplicemente un essere umano che sentiva tutta la disperazione e l’impotenza che solo la malattia, con quel suo senso di fine imminente e ingiusta riesce ad infliggerti. In ogni singhiozzo ho risentito la sua stretta, in ogni respiro spezzato il suo essere potente e inarrestabile. Una forza contraria, il limite massimo capace di piegare anche la scienza. Sono dovuta cadere, ho dovuto farlo perchè ogni certezza era diventata cenere.
Esser forte era l’unica scelta che mi era rimasta. Riscoprire ogni più intima sfumatura della nostra umanità in un momento di così forte dolore e vulnerabilità è un atto di estremo coraggio. Sapevo di doverlo fare riconoscendo però di essere tanto fragile, troppo fragile. Dovevo cadere, dovevo dire addio ad ognuna delle mie certezze. Dovevo perdonare me stessa per quello che la Volontà non era riuscita a cambiare. Per tornare ad Esistere dovevo dare al mio essere il diritto di guardare in faccia la Fine. Fa paura, fa paura pensarlo, scriverlo, e sembra impossibile anche solo cercare di pronunciarla quella parola. Ciò che finisce spaventa, è l’ignoto, è il non detto e il non scritto. Ciò che finisce è ciò che non possiamo più cambiare.
Ma per non lasciare che la mia anima si perdesse e accettando ogni rischio, dopo lunghe, lunghissime settimane, mi sono concessa un’altra tregua. Un’andata e ritorno che sentivo di dovere a me stessa, che meritavo. Un’andata e ritorno calcolati al minuto, con la sola voglia di vivere ogni minuto al massimo.
Sono partita svuotata di ogni sentire, con un bagaglio pieno di parole taciute.
Dovevo concedere a me stessa un momento, quella tregua che la malattia mi nega.
Sono partita per dimenticare, per tornare a sentire che nelle mie vene può e deve ancora scorrere vita. Nuova Vita.
Partire e rifugiarmi lì dove tutto è perfetto, sempre. Un’andata e ritorno resi possibili perchè la vita a volte decide davvero di stupirti, regalandoti la certezza di un’amicizia che vale più di mille amori. Questa volta ti sei mangiato chilometri e asfalto e hai trasformato questa andata in qualcosa di più. Chilometro dopo chilometro sentivo di poter ricominciare a respirare, sentivo che lì in quella macchina ci sarebbe stato posto per tutto quello che credevo di non riuscire più a sentire. Posto per le lacrime, per la rabbia, per il silenzio. Posto per me. Ed eccomi, eccoci in una terra magica, dove “ridono i salici e piangono i comici”, dove ogni sorriso sembra dirmi “lo meriti anche tu. Esiste un posto anche per te.”
Dove l’amicizia si veste del più elegante e fedele amore, dove gli abbracci rimettono a posto ogni fottuto pezzo rotto, dove la vita torna a stupirmi, dove il tempo sembra fermarsi in una bolla perfetta e dove sono riuscita a trasformare quel tutto, cattivo, ingiusto e codardo, in niente, tanto da fingere che non mi appartenga perchè in ogni sguardo ho ritrovato la gioia, la bontà e la gentilezza, in ogni abbraccio l’affetto e la protezione. In ogni gesto la volontà e il desiderio di esserci. Una terra che tra mura e torricelle nasconde quanto di più prezioso potessi desiderare di ricevere.
In ognuno di quegli istanti offerti, vissuti e voluti ad ogni costo ho respirato Vita, amore e felicità e ho compreso che non è il nero su bianco che può salvarmi. Sarà la mia inesauribile voglia di vivere che permetterà di trasformare ciò che oggi per la scienza è il buio in nuova luce. E in questa andata e ritorno quella luce è tornata ad essere mia.
“L’equilibrista imperfetto aveva perso l’equilibrio. Tutte le sue certezze si erano trasformate in cenere. Esser forte era la sua unica scelta. L’ultima sua carta.
Afferrò la corda con decisione e stremato e dolorante tornò in punta di piedi su quel filo, negando a se stesso il diritto di guardare giù. E rivolgendo il suo sguardo verso l’infinito tornò a sfidare con orgoglio l’oltre.”