Lasciamo da parte i giri di parole. L’equilibrio si è rotto, la bolla è scoppiata. Faccio a pugni con il dolore da giorni. Testa alta e spalle larghe, nessun tentennamento, un passo alla volta, un gesto alla volta. Un pensiero alla volta. Un respiro alla volta. Quando scegli di lottare non puoi permetterti di fermarti, non puoi lasciare al dolore il potere di spezzarti il respiro, nè alla tua mente di perdersi negli anfratti scuri della tua anima.
Tutto si riduce ad un’unità. Un’unità alla volta. Risparmi forze, risparmi attimi, risparmi tempo. Guadagni vita. Ognuna di quelle unità stride con le mille che piano entrano nella mia vena, ma nego a me stessa il diritto di pensarci. Conto e inietto, un’unità alla volta. E sempre una goccia alla volta il deflussore si riempie e reidrata poi il mio corpo. I sali non bastano, aggiungo gli zuccheri, ma nemmeno questi sembrano bastare. Ed ecco che è di nuovo tempo di richiamare un’altra dose, altre mille unità. Il respiro si fa corto, arriva la tosse. Ho cercato di resistere, ho lottato, mi sono agrappata all’impossibile. Ho aumentato l’idratazione, ho meditato, ho cercato rifugio tra i miei cuscini e coperte calde e morbide, ma la pressione non sale, il freddo resta, la febbre persiste, insiste. Così resta un’unica cosa da fare, tentare 5 giorni di antibiotico intramuscolo, o forse dovrei dire dell’unico antibiotico a mia disposizione, ma a questo adesso non posso proprio darmi il permesso di pensare, non ora. Ci sarà tempo, ma non è questo il tempo. Quando la mia bolla scoppia, quando l’equilibrio si trasforma in caos tutto si annulla, perfino le emozioni. Dentro di me si crea un vuoto tanto grande da risucchiare tutto. Non sento nulla, non riesco più a sentire niente. Nè il bello nè il brutto. Sento il bisogno di proteggermi, impedisco che mi si faccia del male con parole non necessarie. Chiudo semplicemente la porta e abbraccio me stessa.
In periodi come questo so di giocarmi il tutto per tutto, senza sconti, senza vie d’uscite. Riuscire a spiegare qualcosa a cui infondo nemmeno io so dare un nome è difficile. È difficile raccontare al mondo ciò che la logica ti porterebbe a dire esser l’inferno e che per me invece è soltanto la parte di un tutto, ma mai il tutto. Ma quella parte esiste, non la rinnego. È una parte dal sapore amaro, che si compone e scompone tra lacrime respinte e vuoti, che si anima della sola voce del silenzio. Quella parte, la mia metà imperfetta e malata, che il mondo arriva a temere, che muove interrogativi e viene macchiata di pregiudizi, è il mio essere e non essere. Sono quelle mille unità, sono flebo, e pomate contro reazioni delle pelle che sembrano ustioni tanto bruciano e fanno male. È un controllo continuo dei miei parametri, è la ricerca di una corretta postura, della giusta temperatura. È l’attenzione verso ciò che mangio, è la privazione delle giuste ore di sonno. Sono le lussazioni, gli spasmi, gli edemi e le costole incrinate per un maledetto colpo di tosse dato in maniera distratta. Sono le rinunce, i no detti contro la mia volontà. Sono i silenzi di chi mi volta le spalle perchè tutto sembra troppo. Sono le incognite, i colpi bassi, le brutte notizie, le verità amare che mai vorresti accostare al tuo nome. Quella parte è ciò che nero su bianco ritrovo scritta tra referti, relazioni. È il mio dire testardo, mai arrendevole. È il sorriso a cui mai rinuncio e con cui accendo il mio viso anche quando è stanco e pallido perchè passando distratta davanti ad uno specchio ciò che vedo oggi è una donna, da poco trentunenne, che nonostante le cadute, il dolore, i fallimenti e tutto ciò che non può più cambiare inventa e reinventa ogni giorno la sua vita. Un respiro alla volta, un passo alla volta, un’unità alla volta. E sia. Rialzo la testa, allargo le spalle è tempo di continuare a combattere, è tempo di guadagnare altra vita.
Un'unità alla volta
