È solo la mia routine.


Sarò schietta, nessun giro di parole, non c’è nessuna pillola da indorare. Son giornate toste, giornate dove perfino l’aria sembra pesante. Le malattie di cui soffro si son prese tutto lo spazio. Ma proprio tutto! Non c’è istante in cui non sia costretta a condividere con loro ogni respiro, ogni gesto. Ed è proprio in periodi come questi, e attenzione non ho detto in giornate come questa, che devo subire, subire e subire, dando loro tutto ciò che vogliono. Credetemi, è snervante, irritante, insopportabile. Non tanto per il dolore, per l’impotenza o per le rinunce ma per il sentirmi come in trappola, schiacciata, costretta, prigioniera. Ed è proprio in questi periodi che perfino una semplice, direi quasi banale abitudine si trasforma in una lotta impari tra me e loro. E scopri così che le abitudini possono diventare proprio una brutta cosa, ma brutta davvero! Se poi quella routine si scontra con lussazioni spontanee, sindrome da tachicardia posturale, disautonomia, vasodilatazione e.. e quanta cazzo di fatica per una doccia!! Vien male solo a pensarci, vero?! D’altronde è solo una doccia. E’ difficile spiegarlo, ed è ancor più difficile per gli altri comprenderlo. Il solo gesto di insaponarmi può far sì che le mie articolazioni si lussino. Il calore dell’acqua può aumentare la mia già presente e persistente ipotensione. Il respiro può venire a mancare, insieme al mio di per se’ instabile equilibrio. Ed è così che una semplice doccia diventa un possibile rischio. E io devo combattere, devo trovare la forza, devo impormi a tutte le altre me e devo farlo per non lasciarmi andare, per restare in piedi, seppur a modo mio. La mia routine è fatta di un tempo imprevedibile, contrario, difficilmente programmabile. Ho imparato a glissare, a non farmi toccare da frasi come “Ma sei ancora in pigiama?”, “Hai dormito tutta la mattina e non hai ancora mangiato, ci credo che non hai forza!”, “Esci! Se stai a casa ti deprimi.”, “Perchè la notte non dormi?” E potrei andare avanti così all’infinito. La verità è che se mi fermassi a valutare ciò che forse, e una volta per tutte, sarebbe giusto dire, se solo mi arrogassi il diritto di svelare il vero volto della malattia dovrei dire molto. E se per una volta decidessi davvero di dirlo? Credo che le mie risposte suonerebbero più o meno così.
“Ho 30 anni e sono rara, una malata rara. Ho una vita diversa, ho tempi diversi. Per il mondo sono diversa, per la scienza rara. Ma io sono Elly, semplicemente Elly.”, “Oggi sotto la doccia stavo per scivolare, tutto intorno a me è diventato nero e la mia gola si è stretta in una morsa fortissima. Ho sputato sangue perchè un edema schiacciava il mio palato e le mie gengive e quando posso, quando nessuno mi vede, preferisco sputarlo e non ingoiarlo. L’acqua l’ha portato via lasciando a me il dolore, il respiro più corto e il peso dell’ennessima crisi. Mentre mamma mi asciugava ho masticato e ingoiato ghiaccio per alleviare il dolore, per rallentare la vasocostrizione. Peccato, avevo già preparato i vestiti che avrei voluto indossare, sarà per la prossima.”, “La mia testa da giorni si sente leggera, confusa, e quando questa confusione aumenta se provassi a parlare finirei con il confondere le parole. I miei movimenti sono più lenti, e ancora più lentamente devo alzarmi dal divano perchè le gambe appena provo a fare qualche passo iniziano a tremare e il mio cuore batte fortissimo. Lo sento ovunque, nel petto, nella gola, nelle tempie. Devo solo arrivare al tavolo. Dai Elly, tra qualche minuto andrà meglio.”,  “D’improvviso respirare è difficile. Chiudo gli occhi, e inizio a contare. Immagino di soffiare in un sacchettino e lentamente il peso sul petto si alleggerisce. Son in piedi da troppo tempo, devo fermarmi!”, “Spesso mi sento stanca, tanto stanca e preferisco il tepore di una coperta e la mobidezza dei tanti cuscini su cui mi appoggerò, non ho la forza per uscire ma ho bisogno di distrarmi, di scandire il tempo che scorre e allora lascio che siano le note di una canzone a portarmi lontano. Concentrarmi su parole che non sono mie mi permette di prendermi del tempo. Tempo per non pensare, per sentirmi leggera, per non sentirmi sola. Domani è un altro giorno, domani andrà meglio. Basta aver pazienza.”, “Oggi mi sembra di impazzire, sento la pelle prudere contro gli elastici del reggiseno, delle calze e bruciare a contatto coi jeans. Ho i crampi alle gambe, i piedi freddi e le mani intorpidite. Il sole è troppo forte, mi fanno male gli occhi, sarei dovuta rimanere a casa, ma quelle quattro mura eran diventate troppo strette.”, “Ho mangiato poco oggi perchè la mia mandibola ha iniziato a lussarsi al primo sbadiglio, pur essendomi sforzata di soffocarlo. La spalla è instabile e nel prender la tazzina ho lussato il pollice. Oggi mi sento un lego, un lego montato male.”, “La mia mano oggi trema. Spesso le mie braccia, così come i miei piedi si addormentato, e io non posso far nulla se non cercare un’altra posizione, o interrompere ciò che sto facendo e aspettare. Mi fermo e aspetto. Mi fermo spesso, ma non importa, ho imparato a prendermi il mio tempo. Basta aver pazienza!”. 
Pazienza, coraggio, forza, voglia di lasciare che un grido si perda nel silenzio. Già il silenzio, lo stesso silenzio in cui risuonano queste parole mai dette. Questa è solo la mia routine, sono le mie abitudini che si scontrano coi miei limiti, con le altre me. Sono io che lotto per esistere. Se vuoi, puoi e se puoi, devi! 
 


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