Non farò nomi e non perchè temo possibili conseguenze o perchè le persone coinvolte desiderano veder garantito il loro diritto all’anonimato. Non farò nomi perche purtroppo la realtà di cui vi parlerò è accaduta e accade, da nord a sud, senza distinzione alcuna, senza eccezione alcuna. I protagonisti? I malati invisibili. Le parole possono trarre in inganno. I malati invisibili sono affetti da malattie che non vedi, che scavano da dentro, che ingannano l’occhio di chi le guarda, che spesso proprio chi ne è affetto maschera con una forza e una voglia di vivere che sovrastano il dolore subito, le ingiustizie, le mancanze. È un vero e proprio atto di prepotenza. Non vuoi darla vinta alla malattia e ben che meno al sistema. Le malattie invisibili nascondono la vera natura di quei sintomi, delle manifestazioni che giorno dopo giorno diventano sempre più limitanti, più insidiose e senza troppi giri di parole più pericolose. Sono malattie che agli occhi di molti neppure esistono, che possono farti apparire “normale”. Odio questa parola. Viene cucita addosso alle persone nemmeno fosse la garanzia di un biglietto da visita perfetto, vincente, adeguato, adatto. Ebbene i malati invisibili sono persone “normali”. Per la medicina sono persone che non necessitano di cure, di assistenza, di considerazione. I malati invisibili sono donne, uomini, bambini, anziani abbandonati. Spesso accusati di essere ipocondriaci. Il loro malessere viene configurato come espressione di uno stress psicomatico, i cui segni sono l’effetto di macchinosi processi mentali che portano ansia, depressione, crisi di panico. Ed ecco che una sindrome disautomica si nasconde dietro un possibile male dell’anima. Un’eccessiva sudorazione, manifestazione di un’incapacità di termoregolare la propria temeratura corporea, viene scambiata per una crisi di panico. Le numerose crisi che colpiranno l’intestino si penseranno come il frutto di un colon irritabile dato da stress e ansia. Drammatici esempi che generano interrogativi, che chiedono risposte e che portano i malati a vagare da nord a sud, tra ricoveri che molto spesso portano ad un nulla di fatto, che lasciano una devastazione dell’anima tanto grande e distruttiva da lasciarli annientati. I malati invisibili perdono il sonno, si costringono a lotte infinite per dimostrare che quel male, che il loro dolore, è reale e si nasconde spesso dietro cause sconosciute. Orfani di diagnosi, privi di un percorso diagnostico vedono la loro vita devastata, ridotta al nulla. Io stessa sono stata vittima di questa invisibilità, io stessa ho lottato per dare un nome alle bestie che mi hanno strappato la mia vita. Perfino oggi che il mio esser rara tra i rari è un fatto chiaro e incontrovertibile sono vittima a volte di quel voler rinnegare ad ogni costo la natura sconosciuta di nuovi sintomi. Una malattia invisibile è un male vero, e non dovrebbe esserci nemmeno il bisogno di dirlo. Non si dovrebbe mai, in nessun caso, innescare una lotta intestina tra medico e paziente. Una lotta che diventa ancora più aspra anche quando si riesce a trovare un medico disposto a lottare al tuo fianco, ma sprovvisto di quel supporto necessario, vittima di un sistema che sembra non aver spazio e mezzi a supporto di casi che necessitano un lavoro di equipe, multisistemico e multidisciplinare. Non è mia intenzione denigrare, offendere o osteggiare i tanti sacrifici di chi lotta al fianco di questi mali invisibili, ma non posso non dire che molto, troppo deve essere ancora fatto. Sono molte le storie che ascolto, di cui vengo a conoscenza che raccontano di cammini difficile, umilianti, disumani. Ricoveri che somigliano a una vera prigionia, percorsi terapeutici incompleti, mancanti di dialogo, di supporto, di ascolto. È troppo il dolore che questi uomini e queste donne sono costretti a sopportare in nome di un diritto che dovrebbe esser garantito a ciascun essere umano. Riconosco che non sempre è possibile dare un nome a ciò che ci afflige, ma ciò non può e non deve giustificare il totale abbandono. Lo stesso mio quadro presenta ancora oggi buchi neri e incognite, ma questo non ha impedito e non impedisce ai miei curanti di oggi di assistermi, di fare tentativi. Ci sono voluti 15 anni, sì avete capito bene. Quindici lunghissimi anni, anni che nessuno mi ridarà indietro. Anni in cui ho perso molto, in cui ho visto il mio corpo cambiare, in cui mese dopo mese si sono aggiunti nuovi limiti. Una delle patologie da cui sono affetta fa parte di me da quando sono nata eppure ne ho ricevuto diagnosi a soli 27 anni. Tardi, troppo tardi per fermarne la degenerazione, troppo tardi per arginare i danni, troppo tardi per offrirmi un aiuto che tale si poteva definire. Il dolore dei malati invisibili, un dolore che io conosco molto bene, ti lascia segni profondissimi, ti svuota l’anima, ti cambia. Davanti a ciò che è raro non vi è certezza, davanti a ciò che non vedi non vi sono linee certe da seguire ma può e deve esserci la volontà di guardare con occhi nuovi e sapienti a ciò che non si conosce ma che se solo si fosse disposti a guardare davvero racconterebbe storie comprensibili, sperimentabili, e bisognose di una cura e di attenzione da parte della scienza, delle istituzionie e della società.