La mia giostra ha preso a girare forticosamente, parlarne, raccontare è assai difficile. Le parole a volte mi sembrano uno sciocco ornamento, un di più che pur impegnandomi allo stremo delle mie forze finiscono per assomigliare al suono stridulo di freni ormai consumati. Resta così il silenzio, la voglia di non dire, di lasciarsi andare alla rabbia, al dolore. Una voglia che si accompagna ad una sensazione che credetemi è assai spiacevole. L’impotenza. Parlarne non servirebbe a niente, forse dovrei farlo, dovrei sforzarmi di dare voce a quanto giorno dopo giorno sta stravolgendo la mia vita, ma non posso fare a meno di chiedermi, è necessario? È ciò che mi serve? O forse posso invece concedermi un pò di silenzio? Posso scegliere di lasciare le parole agli altri, sembrano sempre averne, e migliori delle mie. Non posso dirmi in cerca di meriti, nè tanto meno ardo dal desiderio di conquistare medaglie. Ciò che vorrei è lontano da ciò che ho. Cio che vorrei adesso è ritrovare un pò di leggerezza, di serenità. Non cerco la felicità, ho smesso di credere e di affidarmi ad un utopico concetto di felicità assoluta. La felicità assoluta non esiste. La Felicità la trovi nelle piccole cose, la riscopri nei gesti gentili, negli inviti che non ti aspetti più di ricevere, nei fatti che si sostituiscono a parole cadute nel vuoto e misere. È questa la felicità che vorrei, queste le gioie che vorrei rivivere senza dovermi curare della malattia, di valori che sembrano il preludio di nuove amare sfide. Si resta appesi, si resta intrappolati nell’attesa. Si resta obbligati a dover fare. E’ un fare incessante il mio, avanti e indietro da un luogo ormai famigliare. Quelle mura che tanto hanno da raccontare, corridoi che brulicano di vita. Vite che hanno storie incredibili. Se un volto in un ospedale ti è familiare e non lo è perchè è lì per svolgere il suo lavoro allora come te condivide appuntamenti fissi a cui il mondo lì fuori dovrebbe prestare un pochino di attenzione. Storie che pesano, vite in cui risuona forte l’ingiustizia di un destino che non puoi cambiare. Manca questa attenzione, manca questa voglia di guardarsi davvero negli occhi, manca il desiderio di sentirsi esseri umani simili gli uni agli altri. È tanta la solitudine che puoi arrivare a respirare tra quelle mura. È assordante il silenzio che tenti di riempire, ed è così che finisci per stringere legami. Stringi alleanze che non si condiranno di troppe parole ma credetemi daranno molto molto di più. Ti strapperanno sorrisi, ti doneranno leggerezza, ti concederanno piccole grandi pause da quel tram tram di vita vera che nel strapparti attimi e stravolgendo i tuoi passi ti regala miracolosamente altra vita. Non dirò altro, non aggiungerò nient’altro a questo mio pensiero, mi concedo per una volta la possibilità di dire meno, stretta nella speranza di avervi trasmesso molto molto di più.