“Ho una malattia, si chiama Fantasia:
porta quasi all’eresia, é considerata Pazzia.. ”
Il Cappellaio Matto
Sfidi il tempo, sfidi i tuoi limiti, sfidi persino la vita a volte, e lo fai per non arrenderti, per non permettere a quel troppo di schiacciarti.
Non vuoi dimenticarti di te stessa, nè vuoi permettere al dolore di spegnere il tuo sorriso.
Un sorriso che oggi è diventata l’ancora alla quale aggrapparmi, la certezza, a volte utopica, che ci sarà sempre un raggio di sole ad illuminare il mio vivere. E’ così che, nel tempo, ho imparato a sorridere, a farlo anche tra le lacrime, a volte meravigliandomi di me stessa per quell’eccesso di positività, altre invece domandandomi se non fossi impazzita.
Una pazzia di cui potrei esser accusata, ma di cui non temo di esser affetta, perchè consapevole della mia forte e testarda personalità.
Ad onor del vero, sarebbe naturale pensare che io soffra di un qualche strano disturbo della personalità, se non altro per aver preso a chiamar per nome ogni malattia, e ogni stranezza che caratterizza il mio esser “diversa” per il mondo. Io con le mie “altre me” sono a volte un tutt’uno, altre volte, invece, loro stesse, prese singolarmente, o addirittura tutte insieme, si trasformano in un in più non necessario, e ingombrante.
In alcuni momenti il loro esistere diviene appunto quel troppo sempre pronto a schiacciarmi, quel divenire così imprevedibile che riesce a sconvolgere anche le più piccole e quotidiane abitudini.
Così nacque quel primo nomignolo, Piccola Bu’, in risposta ad un viso che repentinamente cambiava aspetto.
MajinBù, il famoso personaggio di un altrettanto famoso cartone animato che si trasforma con quel suo faccione buffo e quel suo rosa acceso, fin troppo per me che amo i colori tenui, simbolo di una me dal fare prepotente.
Infondo, se la scienza un nome non riesce proprio a darlo a questa strana, sconosciuta forma di Angioedema, io questo nome tanto gonfio, e tanto brutto, proprio non voglio farlo mio, e ancor meno le parole idiopatico e forse perfino ereditario.
Ed eccolo allora, Piccola Bu’: piccola come me, perchè pur sempre parte di me, la prima altra me, e Bu’, perchè ad ogni trasformazione qualcosa di rabbioso, dispettoso e cattivo mi strappa dalla normalità, per poi ributtarmici dentro, in uno stupido gioco a tempo dove non so’ mai quando Lei tornerà a fare capolino.
Io e Piccola Bu’ facciamo grandi discorsi, a volte la prego di non arrabbiarsi, altre l’assecondo contando e respirando piano, altre volte ancora la subisco, altre invece la combatto, e se Lei vuole aver la meglio opto per quella strana miscela che in poco tempo l’addormenta di nuovo.
I miei Esserini, nient’altro che l’accettazione di un protocollo off label, non pensato per me, ma che mi riporta alla “normalità”.
Fin dal primo istante in cui ho accettato di accoglierli li ho immaginati come una schiera di piccoli soldatini pronti a ristabilire l’ordine nella mia cascata coagulativa. Un ordine che però in me è tutto fuorchè ordinato.
Uno strano gioco di parole, assai strano, ma ormai tanto familiare.
Elly per la scienza è una contraddizione, per me sono le altre me ad esserlo.
Elly è viva, Elly ama, Elly sogna.
Elly lotta per scrollarsi di dosso quell’etichetta che nel mondo la fà sentire diversa, ma che invece è stata la riscoperta di una forza del tutto nuova che le ha regalato l’infinito.
Per la scienza quindi qualcosa di complesso, a tratti severo, che non ha ancora un’organizzazione precisa. Un cavallo senza il suo fedele cavaliere. Ghost, così ho chiamato l’essere che imprigiona tutte le altre me, colui che abbraccia Piccola Bu’, e che nel tempo ha stretto a sè Willy, Irene, la sua fedele compagna Jenny, e Melody.
E se non fosse per questa mia insana stabilità, a volte confusa con una strana, bizzarra e fantasiosa personalità non credo sarei mai riuscita a sopportare l’attesa che per anni ho subito prima di vedere imporsi tutte le altre me al mio bizzarro vivere, senza finir con l’impazzire davvero.
Ed ecco che in questo caos, con il tempo, un’immagine allo specchio tentava di farmi aprire gli occhi. Piccola Bu’ non era forse abbastanza?
Un dolore costante e cattivo tentava di mettermi in guardia da qualcosa che, a detta dei medici, era dovuto ad un eccessiva magrezza.
Uno spillo gigante pronto a pungermi ad ogni passo, fino a che, un giorno, un’immagine in bianco e nero, non svelò il mistero.
La mia schiena, per esser precisi, la parte sacrococcigea, aveva una conformazione ad uncino, simile ad una pinna rovesciata.
Ho sempre amato nuotare, per quella sensazione di assoluta libertà, ma di certo mai aspiravo ad assomigliare ad un pesce.
Chissà nella mia precedente vita ero forse un delfino, e allora quale miglior nome se non Willy. Io e Willy spesso abbiamo un rapporto molto conflittuale.
Il suo aspetto non mi piace, e il suo essere sempre pronto a ricordami della sua esistenza è difficilmente sopportabile.
Disturba le mie notti, non mi permette di sedermi comodamente, e il più delle volte lo stesso star seduta diventa una tortura.
A cosa sia dovuto ancora non si sà, chi suppone ad un tal malattia, chi ad un’altra, chi invece forse finalmente lo inquadra in quel disordine a lungo silente che oggi sembra esser causa di molti miei mali.
E in uno dei miei lunghi girovagare, in lungo e in largo, su e giù per l’italia, entrarono nella mia vita Melody ed Irene.
Melody, a dire il vero, è di recente scoperta che sia stata un’ospite di passaggio, ciò che la scienza definisce un epifenomeno, peccato che a causa sua molto di quanto ho subito è stato per lungo tempo qualcosa di molto scomodo, senza contare che il suo esserci, e far parte di me, ha rischiato di contribuire a strapparmi il mio sogno più grande.
Un sogno a cui oggi non rinuncio, e che forse ora potrebbe non esser più così impossibile.
Irene invece nel suo essere così enigmatica e ancora in attesa di differenziazione trovò il suo nome una sera di primavera.
Le mie uscite, ormai da lungo tempo si accompagnano con la presenza di Jenny, una stampella verde accesso, grazie alla quale i miei passi a volte incerti si sentono finalmente capaci di coprire anche lunghe distante. Sebbene di Irene avevo consapevolezza da molto tempo, e secondo il sapere scientifico, lei era parte di me fin da quando Elly è nata, faticavo a trovarle un nome. Nessuno era mai adatto, nessuno davvero all’altezza.
Poi quella sera, complici forse gli eventi, e quel mio sentire l’anima in tumulto e combattuta dall’ennesimo cambiamento in vista nella mia vita, una canzone mi ha aperto gli occhi.
Una lacrima scese di nascosto, e il cuore prese a battere. L’altra me era lei.. era nascosta nelle parole di quella canzone. Era quelle ballerine, era quelle lacrime ormai asciutte, era quella voglia di andare quando il sipario si alza, perchè sul palco il male passerà.
Lei c’è, lei è quell’altra me a volte più forte di tutto, ma è allo stesso tempo la parte più vera di me. Irene con Elly si scontra. Irene a volte tenta di guadagnare spazio, e allora Elly su quel palcoscenico l’abbraccia e la tiene stretta, finchè quel male passerà davvero, anche se per poco.
Quel poco, quel momento, a volte breve, che rappresenta però il tempo necessario per ritrovare la forza e sentire dentro la certezza che non è finita, che nulla è mai insuperabile e che passerà.
E passa, bisogno solo saper aspettare. Si deve raggiungere l’apice della vetta e scalare l’intera salita, affinchè poi inizii la discesa.
E’ una battaglia silenziosa, ma infondo è la mia vita. Elly è Ghost. Elly è Piccola Bu’. Elly è Willy. Elly è Irene, e insieme a lei Jenny. E nel ricordo è anche Melody. Elly sono Io!