Una Farfalla


Guardavo quella farfalla attraverso il vetro. Io ero fuori, mentre lei era entrata e si era poggiata in quell’angolino li in basso, sul vetro, forse dove sentiva il calore di quel raggio di sole che illuminava quell’enorme stanza. Poggiata ad una fragile ringhiera respiravo l’aria e lasciavo che il vento mi accarezzasse la pelle. Niente di romantico, non era un attimo perfetto dove guardi il mondo attraverso la formula del bicchiere mezzo pieno, ero semplicemente io che aspettavo il mio turno fuori dall’atrio di uno dei tanti edifici dell’ospedale.  Di solito scelgo una panchina,  ma questa volta non potevo far altro che ritagliarmi uno spazio li, senza ostruire il passaggio ma li, all’entrata.

E’ più forte di me. Non è il risultato di una negazione, e anche se ormai dovrei averci fatto l’abitudine io proprio non ci riesco, non posso.. sono consapevole che non ci sarebbe nulla di strano a sedersi, ed aspettare. Lo fanno tutti, si siedono e aspettano. E’ facile, ovvio. C’è chi legge un giornale, chi resta semplicemente in silenzio. C’è chi ha voglia di parlare e ne ha così tanta che se potesse ti racconterebbe tutta la sua vita, chi persino si addormenta. perchè l’attesa è sempre troppa e un sonnellino è sempre buona cosa. Ma io a star seduta proprio non riesco. Ho imparato ad avere pazienza. E’ una dote necessaria se non vuoi rischiare di perder la pazienza e trasformarti in un essere sgradevole e poco civile. Ho imparato che se riesci a fare un piccolo passo indietro spegnendo ogni pensiero che in quei momenti ti attraversa la mente, puoi sentire quell’attesa più leggera, come se non la stessi nemmeno vivendo. E’ come rinchiudere quella realtà in una bolla e guardarla da fuori, diventando cosi uno spettatore. Nella vita, però, non si può essere semplicemente spettatori.

C’è stato un periodo in cui non avevo ancora imparato a respingere quella valanga di pensieri che finivano puntualmente per travolgermi, lasciandomi dentro solo un senso di smarrimento e incredulità. Ma un giorno una voce riuscì a strapparmi da quel vortice infinito di parole. Parlare di Lei è difficile, perchè le parole non potranno mai esprime il suo essere Grande. Lei era il Mondo, in un sorriso riusciva ad abbracciarlo tutto, e riusciva a donarti la Vita solo guardandoti.   Una panchina, poche parole all’inizio, dialoghi silenziosi che con il tempo si sono trasformarti in un’ancora alla quale aggrapparci ogni volta che ci sentivamo perse.  Ce ne stavamo lì sedute, a volte appoggiavo la mia testa alla sua spalla, e ci guardavamo intorno. Facevamo nostre le storie degli altri, le ascoltavamo e nel tentativo di dar loro una speranza salvavamo noi stesse. Un dare e avere.  Il continuo perdersi, e l’incessante voglia di ritrovarsi ed esserci.     Lei oggi è infinito, ha vinto la sua battaglia in un modo tutto suo.   Se ne è andata in punta di piedi, senza fare rumore, come era solita fare. I suoi erano passi silenziosi ma carichi di Verità, Forza e Inarrestabile Voglia di Vivere.

Custodisco gelosamente il suo Ricordo, dimenticare il suo Sorriso equivarrebbe a dimenticare una parte di me. Mi ha insegnato a donarmi agli altri. Un’ infinita sete di sapere e il bisogno di condividerla con il mondo. La volontà di servire questo stesso mondo che tanto le ha tolto e troppo poco le ha dato. Lei voleva Servire. Si offriva al prossimo senza riserve, e una volta giunta all’ ultimo saluto offrì il suo corpo alla scienza, nella speranza che studiandolo si accendessero nuove speranze per chi sarebbe venuto dopo di lei.

E quell’abbraccio con cui lei sembrava stringere a sè tutto il mondo è oggi la mia Bolla. In me, la Volontà forte e indistruttibile di Servire. Non posso sedermi e aspettare.. sprecherei il mio tempo, e io voglio viverlo questo mio tempo. E voglio Servire. Voglio esser quel sorriso per chi si sente troppo triste, voglio essere quella voce che ti strappa dai tuoi pensieri e ti dona la certezza che non si è mai soli, perchè se alzi gli occhi, e ci credi davvero, qualcuno ti verrà sempre incontro.


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