Nulla è impossibile, basta solo volerlo!



È strano come la tua vita possa cambiare in un battito di ciglia. Un interruttore che si accende e si spegne, e in quel click il baratro profondo, tra un prima e un dopo che non si ricongiungeranno mai. Tu stai al centro. Fluttui a mezz’aria guardando te stessa in bilico sull’orlo di due precipizi che si allontanano vorticosamente uno dall’altro.
Ci sei solo tu da una parte e dall’altra. Tu con la tua vita di sempre, i tuoi sogni, le tue speranze. E tu adesso: seduta, immobile. In mezzo il nulla. Un precipizio senza fine. Fuori di te solo voci ovattate e ombre sciolte che s’affannano a chiederti come stai, a dirti ‘andrà tutto bene’. Ma tu sei confusa. Non vedi pur vedendo. Non senti pur udendo. Vorresti solo urlare, ma non hai voce.
Il tuo respiro ancora fermo in quel click che ha cambiato per sempre la tua vita.

Mi chiamo Roberta, ho 25 anni. E questo è un dato di fatto. Sono nata con una passione: ballare. Ed è quello che ho sempre fatto.
Ricordo ancora il mio primo giorno alla scuola di danza. Un frugoletto di appena quattro anni che stava realizzando il suo sogno. Quanta emozione! Un emozione che non ha mai smesso di vibrarmi dentro e farmi sentire viva.
Come quel primo giorno, quando timida e un po impacciata, mi sforzavo di imitare quei piccoli e semplici passi mossi dalla mia maestra. Com’è lontano quel tempo a guardarlo così affacciata dalla finestra della mia memoria… eppure sembra solo ieri!
Strano questo tempo che ci scorre addosso! Padre/patrigno che ti ama e ti odia all’unisono. Si accorcia e si dilata seguendo misteriosi ritmi scanditi dai battiti del tuo cuore. Non stavo mai ferma un solo istante. Mare o montagna nulla per me aveva limiti. Ero un vulcano in perenne eruzione. Tanta voglia di fare. Tanta voglia di vivere. Tanta voglia di divertirmi.
E poi… poi quel click che mai mi sarei aspettata.

   14 agosto 2011. È sera. Una domenica come tante altre. Sei sulla macchina e stai rincasando. Commenti la serata appena conclusa. Parli di ciò che farai domani. Ridi. Scherzi. Come sempre. In fondo è un giorno uguale agli altri. Tra poco sarai a casa. Forse ci sarà qualcuno sveglio a rimbrottarti sull’ora. Mentre tu ti prepari alla lunga maratona di mare che ti aspetta domani!
Cavoli, domani è ferragosto!!! Ma non sei ancora rientrata. Sei ancora seduta su quel sedile e guardi i lampioni che scorrono fuori il finestrino. Qualcuno è fulminato. Vedi i fari delle auto venirti incontro dall’altro senso di marcia. L’asfalto illuminato sembra brillare e vibrare all’unisono. L’aria è tersa e calda. Tutto è calmo. Il canto delle cicale sembra quasi una serenata intonata solo per te.
Si dice sempre che qualcosa può succedere. Ma non ti aspetti mai accada davvero. Un luogo comune come un altro.
Adesso so che non è così: è reale! Un battito di ciglia: il silenzio e poi il risveglio! Le voci ovattate intorno a me. Ombre confuse e sfatte che si compattano e sciolgono senza un ordine preciso. E io paralizzata su quell’asfalto improvvisamente vischioso come tela di ragno! Dentro un corpo che non è più il mio! Il tempo come una puntina rotta che batte sempre sulla stessa nota.
Un incubo di quelli che fai al primo chiarore nel dormiveglia. Urli, ma sei muta! Il respiro congelato in istanti senza fine che non gonfiano più il tuo petto. Vedi i fari delle auto intorno a te. Rumori sordi e passi crescere dal nulla. Non capisci. Vorresti solo reagire, ma non puoi. E poi… poi qualcosa di fresco improvvisamente ti penetra dentro. L’aria si fa strada nei tuoi polmoni e tu schiudi il tuo respiro come in un primo vagito confuso tra dolore e speranza. Allora realizzi, cerchi di muoverti ma il corpo non ti risponde.
Vorresti alzarti, sferrare calci, muoverti, muoverti, muoverti! Niente, tutto inutile! Precipiti esausta dentro te stessa. Ti chiedi ‘perché?’ e ancora ‘com’è successo?’ Inizi a pensare che forse solo pochi minuti prima o dopo avrebbero fatto la differenza.
Pochi minuti prima o dopo e nessun maledetto ‘click’ avrebbe interrotto la mia strada verso casa! E intanto torni alla carica.
Ordini alle tue gambe di muoversi: Dai! Dai! Dai! Muoviti!!!
Tutto è immobile, paralizzato in quel ‘può succedere’ che non ti saresti mai aspettata!
Ho trascorso sei mesi nel centro riabilitativo di Montecatone. Sei mesi in cui ho capito che la vita continua malgrado tutto. Sono stati giorni difficili in cui ho fatto a pugni con i ‘no’ del mio corpo. Giorni in cui ho imparato che se voglio vincere, devo sferrare per prima l’attacco. 
Ho trovato dentro di me una forza che non sapevo di possedere e ragioni di vita che mai avrei immaginato. Sono caduta e ho imparato a rialzarmi. Senza rimorsi. Senza se. Senza ma. Il tempo a Montecatone fluiva in un panta rei nel quale ‘non tuffarmi nelle stesse acque’ mi ha aiutata a realizzare che la mia vita era davvero cambiata.

Essere disabile significa navigare costantemente controcorrente. Ci sei solo tu e la tua carrozzina, mentre il resto del mondo sembra ostinarsi a remarti contro. Devi faticare molto per stare a galla. Per non lasciarti trascinare alla deriva dalla zavorra dei preconcetti e dei rifiuti del tuo corpo. Sono stata precipitata in un vortice famelico. Un impietoso Scilla e Cariddi dalle fauci spalancate.
Adesso so cosa sono davvero i mostri! Ma io ho scelto di vivere, non di sopravvivere. E allora ho iniziato un percorso in salita.
Una selva oscura in cui la mia sola guida è la mia forza. Ho guardato nei bozzoli più segreti della mia anima e ho visto me stessa. Eccomi: sono sull’orlo di due precipizi che si allontanano vorticosamente uno dall’altro. Urlo il mio nome da ambo le parti. Gli echi delle mie due voci rimbalzano e si fondono. Trovano vigore uno dentro l’altro. E l’eco si fa voce. Forza. Coraggio.
Ho capito che sono sempre io, Roberta. Ho riacciuffato i miei sogni quasi sbiaditi alla deriva. Ho riacciuffato la mia vita. E adesso ne sono padrona. 
Nulla è impossibile. Basta solo volerlo. Non esiste la disabilità: è solo la condizione mentale dei normodotati, un pot-pourri di inutili preconcetti che impone un divieto al tuo diritto all’autosufficienza. Disabile è una parola che ti etichetta sbarrandoti in una minoranza che ti dice ‘sei diversa dagli altri’, ma io chiedo: diversa da chi? Io sono la stessa ragazza di sempre: Roberta.

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È cambiato qualcosa nel mio corpo, ma non nella mia essenza. Anzi, a dire il vero, oggi ho una marcia in più. È difficile riuscire a scappare da questa rete, tagliare le maglie e guizzare via verso la libertà dell’io posso.
È difficile, ma non impossibile. Non c’è nulla che possa vietarti di fare qualcosa se tu vuoi davvero fare qualcosa. Sono nata con una passione: danzare. L’ho fatto da sempre. Lo faccio ancora.
Quanta emozione in quel primo giorno di danza quando con fatica ho trasformato le ruote nelle mie gambe. Sono tornata bambina e ho imparato tutto daccapo. Lo stesso sorriso. La stessa caparbietà. La stessa emozione che non mi ha mai abbandonata e che mi scorre dentro come questa musica che amo e sento mia. È bello tornare a ballare. È come planare sulle onde del vento.
Ci sono solo io e la musica. Nessuna barriera. Nessuna disabilità. Dopo l’esordio in una serata dedicata alla danza, ho scelto di trasmettere la mia voglia di vivere agli altri. Ho portato così le mie esibizioni nelle piazze, nei teatri, nelle discoteche, nelle scuole.
Ho scelto di condividere e aiutare chi si trova nelle mie stesse condizioni, ma non solo.
Ho scelto di dimostrare che la disabilità è solo una condizione mentale.

Sono stata catapultata su questa sedia a rotelle da un balordo che, non rispettando le regole stradali, ha incrociato il mio cammino verso casa una sera di due anni fa.
Mi sono chiesta, allora, quale fosse il significato di due parole: legge e rispetto.
Due parole semplici e chiare ma che udiamo così spesso quasi da non sentirle più. E così mi sono accorta di quante piccole regole vengano calpestate nel quotidiano. Per disattenzione, cattive abitudini o dietro un comune ‘non pensarci’, ecco che si vieta al prossimo la fruizione dei propri diritti. Si amputa nuovamente quella libertà di movimento, conquistata a fatica, a un diversamente abile.
“Contro tutte le mafie – Paolo Vive” è l’associazione di cui sono vicepresidente e ho fondato appena un anno fa insieme alla cara amica Melangela Scolaro, avvocato. Nostro target è far capire che rispettare le norme è molto di più dell’attenersi alla regolina scritta.
Significa rispettare la persona. Il rispetto non è qualcosa di innato, ma qualcosa da costruire giorno dopo giorno e che abbiamo l’obbligo di trasmettere agli altri. Se tutti nel nostro piccolo mondo quotidiano seguiamo quelle regole di civile convivenza, la società tutta ne trarrà beneficio. Basta poco, ma bisogna volerlo. Non servono gesta eclatanti né eroismi da best-sellers.
È sufficiente comprendere che esistono altre realtà oltre quella personale. E tutte sono degne di rispetto.
Ho iniziato così una battaglia a tutela dei diritti del disabile. Una battaglia difficile per abbattere le barriere mentali e creare una città aperta e fruibile da tutti alla pari. Le campagne di sensibilizzazione, flash-mob, dibattiti, incontri si susseguono a grappolo per non far dimenticare che noi ci siamo e abbiamo gli stessi diritti degli altri.
Tra le tante battaglie forse la più significativa è stata ‘Un giorno in carrozzina’. Un invito rivolto alla cittadinanza e alle autorità tutte a sedersi su una sedie a rotelle e guardare la città dal punto di vista di un disabile. L’iniziativa prevedeva due prove: affrontare un percorso precostituito a ostacoli e percorrere un normale circuito cittadino carico di tutte quelle barriere architettoniche che siamo costretti quotidianamente ad affrontare. Dalle auto parcheggiate nei posti riservati ai disabili o davanti agli scivoli d’accesso, dalle pendenze eccessive alle porte cilindro delle banche o della posta troppo piccole per una sedia a rotelle.
E l’elenco potrebbe continuare all’infinito. È dura, ma il coraggio e la volontà non mancano.

E così eccomi alla testa di questo piccolo esercito per conquistare l’abilità preclusa solo per mancanza di rispetto di quelle piccole semplici regole quotidiane. Io la Roberta di sempre: un vulcano in perenne eruzione.
Non è stato facile sedermi su questa sedia a rotelle, ma l’ho fatto. Adesso è parte del mio corpo. La mia normalità. La mia forza. La carrozzina ha stracciato quel velo di Maja dietro cui si trincerano tutti i cosiddetti ‘normodotati’. E ho visto cose che prima non vedevo. Ho visto gli sguardi della gente. Ho visto le barriere mentali prima di quelle architettoniche. Ho visto un mondo diverso, fatto di ipocrisia e buonismi elargiti a buon mercato. Ho visto anche la potenza di un amore che prima non conoscevo. L’ho visto negli occhi di mio padre, nei gesti dei miei amici, nella solidarietà di chi ha fatto sue le mie battaglie. È magica questa carrozzina. E adesso non riesco più a concepire la mia vita senza! Essere felici non significa non avere problemi, bensì avere il coraggio di affrontarli e risollevarsi traendo da essi la nostra forza.

“Lei che nulla può, ma tutto fa’..”
Roberta Macrì

 

 

 

 

 


Una risposta a “Nulla è impossibile, basta solo volerlo!”

  1. Davvero bella la tua storia…Ho visto che hai anche costituito un’associazione e mi piacerebbe saperne di piu’, e perchè no..collaborare…
    Belle anche le iniziative artistiche..Sono sincero,non è solo cio’ che fai, ma anzi è soprattutto il modo in cui lo fai che mi ha “colpito”…

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