È ormai “cosa” nota, ne hanno scritto e parlato tutti. Le testate giornalistiche hanno titolato le loro prime pagine, i telegiornali hanno dato ampio spazio alla notizia, e ancora approfondimemti, e gli immancabili colpi di tweet e carrellate di post su facebook. La sanità lombarda è stata sporcata dalla corruzione. Ci sono le prove, ci sono dei volti e quindi delle persone che ne dovranno rispondere, ci sono le loro voci, le tracce inconfutabili che hanno lasciato e in questa loro scia di arrivismo e cieco guadagno ci sono anche le storie di chi malato aveva risposto in loro fiducia e speranze. Già, i malati, persone comuni, mogli, mariti, figli, nonni. Persone vulnerabili che non senza sacrifici, tra mille difficoltà economiche e nella sofferenza, cercano il meglio, l’eccellenza, il nome importante che possa rispondere e mettere a tacere quella paura che prende anima e mente quando qualcosa nel tuo corpo si rompe e che vuoi disperatamente aggiustare affinchè tutto torni come prima. Ma chi malato sa bene che niente sarà mai più come prima perchè anche quando si avrà la fortuna di poter dire che tutto è andato per il meglio, e attenzione non tutti possono godere di questa immensa fortuna, le luci di una sala operatoria, il freddo di quel tavolo, l’angoscia davanti a parole che vorrai spiegate e che fatichi a capire non puoi dimenticarli. Restano dentro per sempre. Un prima e un dopo sarà inevitabilmente tracciato e non ci sarà mai solo una cicatrice a ricordartelo. È il tuo cammino che viene stravolto e scoprire che forse non era davvero necessario intrapendere quegli stessi spassi che ti hanno visto protagonista è qualcosa che nessuna condanna potrà risarcire. Si può chiamare danno? No, fatico a ritenerlo semplicemete un errore, uno sbaglio. Ingiustizia forse? O magari malasanità? Credetemi, è davvero difficile trovare una definizione che possa spiegare davvero ciò che si prova a scoprire che quanto sofferto era evitabile. Nel mio cammino di malata rara, condizione di per sè limitante, piena di incertezze e ostacoli non posso dire di essere stata esente da ciò che mi sono obbligata a chiamare “danni collaterali”. Ne ho subiti un’infinità tale che elencarli richiederebbe tempo e parole che credetemi non meritano più. Li ho pagati e li pago a caro prezzo tutt’oggi, ma dar spazio a chi li ha causati o a chi volontariamente non ha fatto nulla per evitarli è un torto troppo grande da fare a me stessa. Che non vi sia per me una cura, nè la speranza di poter dire un giorno sono guarita è una certezza ma dopo lunghissimi anni di lotte e dopo aver incontrato innumerevoli volte visi dal sorriso assai simile a chi oggi si è macchiato di tali reati posso dire di aver incontrato chi è andato oltre l’esser un semplice medico che sceglie di affiancarti nel tuo percorso di cura. Ho incontrato chi dell’esser medico non ne fa’ solo una professione ma che al suo sapere affianca la sua coscienza, la sua empatia, il suo esser un essere umano e in quanto tale con limiti coi quali misurarsi ma dai quali non farsi fermare. Davanti a malattie complesse la scienza può infatti rivelare la sua intotale incapacità di trovare delle risposte e per quanto lasci sgomenti pensare che non vi siano nè risposte nè tanto meno una cura davanti a malattie devastanti questa verità è giustificabile, accettabile e comprensibile perchè nei lunghi cammini di chi raro il bisogno di una risposta certa lascia il posto ad altri bisogni, come l’esser compresi, l’esser aiutati a fronteggiare per quanto possibile ciò che ti viene imposto dalla malattia. Ma il cammino di chi raro non è poi così diverso da quello compiuto da chi anziano, o da chi affetto da malattie croniche e degeneritive. Siamo malati e non vi sono malattie o condizioni che meritano attenzione più di altre, ciò che merita attenzione è la persona, ciò che merita una cura è il dolore. L’affidarsi ad un medico non è mai un caso, è la risposta ad un bisogno che spesso spaventa, che crea dubbi, che impone una lotta ed è per questo che non è accettabile il giustificazionismo che si pone davanti alla resa più totale, all’abbandono. È ingiustificabile l’arrivismo, il volersi arricchire sul dolore degli altri ed esserne complici. Nell’apprendere di quest’ennesima vergogna mi sono soffermata a guardare a lungo i loro volti e ho provato una profonda rabbia, uno sdegno infinito per il male inflitto a tutti quei malati purtroppo coinvolti e per il fango che queste persone hanno gettato su chi invece onora quel camice ed oggi, forse, tra quelle stesse corsie si trova a dover giustificare scelte che invece sono prova di cura e dedizione verso il paziente, pagando altresì il prezzo ingiusto del pregiudizio verso il loro operato che inevitabilmente si verrà a creare. Non troverò mai le parole per ringraziare chi in quest’ultimo anno ha scelto di schierarsi al mio fianco in questa mia lotta impari, nè smetterò mai di provare profonda ammirazione per tutti quei medici, vere e straordinarie eccellenze, che mettono anima e corpo nella cura dei loro pazienti, ma allo stesso modo e con la stessa convinzione non posso scusare chi ha deliberatamente scelto di calpestare quel camice, chi ha scelto il dio denaro a danno chi malato, chi ha dimenticato la preziosità che si cela dietro il sapere. Voi no, non meritate le mie scuse, nè lo meriterete mai!