Ciò che fino ad un attimo prima era certezza, l’attimo dopo lascia il posto a un dubbio. Poche semplici parole bastano ad insinuare un sospetto, ed ecco che la tua mente si ritrova invasa da infinite considerazioni, più o meno ovvie e più o meno giuste, se per giusto si intende ciò che è oggettivamente lecito e moralmente etico. Considerazioni umanamente concesse a chi, oltre ogni ragionevole dubbio, chiede semplicemente la Verità.
Ciascuno di noi, almeno una volta nella vita, si è ritrovato in questa assurda condizione. Un dato avvenimento, una circostanza, in taluni casi del tutto inaspettata, ha fatto sì che la quotidianità di ogni giorno venisse oscurata dall’ombra di un dubbio.
Così, del tutto in balia degli eventi, tuo malgrado, ti trovi costretto a vivere una realtà schiacciata da un vortice di pensieri frutto di considerazioni che, il più delle volte, non porteranno a nulla se non ad altri catastrofici, deleteri, subdoli dubbi, costringendoti a subire ciò che oggi rappresenta uno dei più grandi fardelli del uomo: l’attesa.
Una condizione dalla quale l’uomo fugge. Infatti risultano essere una scarsa minoranza gli uomini disposti ad aspettare, senza parlare poi di quella dote ormai da tempo dimenticata, la pazienza, che puntualmente rifugge dall’animo di chi, maldisposto ad accettare di non poter godere dell’immediata risoluzione di un fatto,finisce con il perdere del tutto il senno della ragione, lasciandosi andare in sproloqui senza senso, e al limite del buongusto.
Doti e inclinazioni dimenticate quindi, ma in alcune circostanze poco conta se tu sia avvezzo a tali atteggiamenti, e ancor meno se tu sia ben disposto e propenso ad accettarli, perchè dovrai farlo. Diverrà un obbligo.
Dovrai arrenderti e accettare. Scoprendo però ben presto di sentirti schiacciato e, da un attesa che mai come ora ti sembrerà tanto ingiusta e, dal peso di un dubbio difficilmente smentibile.
Un dubbio, anche fosse apparentemente insignificante, presuppone, nel momento stesso in cui questo si insinua nella tua mente, che tu abbia smesso di credere in ciò che fino a quell’istante era per te una certezza. Obbligato ad abbandonare tale certezza, a cui ti eri saldamente aggrappato, vedi ciò in cui credevi svanire, diventare un nulla, colpevole il peso di un’altra verità, dietro cui si potrebbero nascondere malcelate insinuazioni.
Nel nostro vivere vi sono sottili equilibri che capita persino di ignorare, quasi fossero certezze difficilmente scardinabili, tanto salde da non meritare particolari attenzioni. Ma complici alcune circostante puoi scoprire che un solo momento, seguito da un piccolo dubbio, può non solo farle vacillare, ma addirittura distruggerle, relegando tutto ad un’unica certezza.
Lotterai infatti per non finir vittima di un triste gioco fatto di poteri forti e interessi, in una realtà in cui risuonerà l’eco delle parole di un giuramento ormai dimenticato, schernite dal potente e glaciale riso del Dio Denaro, per il quale un Bianco camice si macchia di un Rosso accesso, e si marchia di quell’infamia che una volta avrebbe fatto impallidire l’onore di ogni uomo, la Vergogna, e di cui oggi nelle alte stanze del potere non rimane nemmeno l’ombra.
Ed in ugual modo capiterà di non trovare più nemmeno il lontano sentire di ciò che l’umiltà e la compassione generavano nell’animo di quei medici che in un tempo lontano, e forse addirittura ormai antico, mettevano a fondamento del rapporto con il paziente: la fiducia.
Un rapporto basato sì su antiche concezioni, ma non perchè troppo lontane nel tempo, e di conseguenza superate, ma perchè frutto del pensiero di chi a questa scienza aveva dato vita, il padre della scienza medica appunto, Ippocrate.
Ebbene, potrei ora affannarmi a ricercare possibili e convincenti giustificazioni a quello che fin troppo spesso risulta essere ormai un triste atteggiamento di giustificazionismo, ed allo stesso modo potrei perdermi in complesse e articolate digressioni circa ruoli e responsabilità, ed ancora tra morale, etica umana e ancor più professionale.
Decido invece di oltrepassare persino il dubbio, poichè riconosco possa risultare colpevolmente viziato da una qual certa soggettività, e scelgo di lasciar alle parole il compito di rendervi partecipi di una considerazione frutto sì di un dubbio viziato dalla soggettività di un dato avvenimento, ma per la quale mi arrogo il diritto e la benevola presunzione di affermarne la totale oggettività.
Lungi da me il voler intraprendere una lunga disquisizione sul sapere medico scientifico. La medicina è un’arte, la scienza invece un sapere.
La sua unione non darà mai origine ad una scienza esatta e incontrovertibile. La medicina si avvarrà della scienza, grazie alla quale si farà garante del maggior numero di risposte oggettive e certe. La scienza medica solo empiricamente può definirsi un sapere esatto, se non contaminato da un eventuale errore umano.
Posto quindi questo naturale limite, posto che a volte ci si ostini a voler far sì che la scienza si elevi a straordinario, finendo con il declassare miseramente il sentire della propria coscienza, e posta la volontà di voler dimenticare ad ogni costo che si è prima di tutto esseri umani, mi chiedo oggettivamente dove sia finito quel senso di naturale pietas che dovrebbe spingere un uomo a rispettare il suo prossimo, ancor più se il proprio sentire viene a fondarsi su un giuramento che nel prossimo riversa il suo più intimo credo: la cura.
Parole, misere pergamene dimenticate nell’oblio, e lo spettro di calde poltrone a ricordarci che forse, considerandoci tutti un pò più umani, se potessimo vi ci manderemmo…
Fosse anche solo per ricordarvi che oltre ogni ragionevole dubbio, oltre ogni oggettiva considerazione, e oltre la piaga di una qualsiasi malattia, il nostro animo è ancora capace, dopo avervici mandato, di continuare a crederci.
Continueremo a credere che nel mondo, prima o poi, potremo ancora trovare un camice bianco, senza macchia alcuna.
E quel giorno, forse, ci si riscoprirà essere un pò più umani in due.